Anniversario con il fuoco, incendio nella pineta

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Il 29 agosto di quattro anni fa il disastroso incendio di Monte Omu devastò irrimediabilmente il simbolo del capoluogo mediocampidanese, la pineta. Il mormorio della gente in questi giorni: oggi è 29, me lo aspettavo“.

Il piromane deve aver aspettato questo giorno per poter appiccare l’incendio nel  simbolo “verde” di Villacidro, la pineta. In questi giorni, dopo i disastrosi incendi di Arbus e Buggerru, la sorveglianza è al massimo livello. Ma sembrerebbe che a Villacidro qualcuno abbia sottovalutato l’azione di un mitomane che si è puntualmente realizzata. Il ricordo di quella notte è ancora vivo nelle menti dei villacidresi, soprattutto per i residenti delle zone alte del paese.

La mano sciagurata dell’uomo quella notte distrusse uno dei patrimoni boschivi più cari agli abitanti di Villacidro.

La prima colonna di fumo si è levata in cielo alle 10:40. Qualche ora prima era stato estinto un principio di incendio nel parco di Villascema. I soccorsi a terra sono giunti in località Bingiomigu alle 11:15, sul posto squadre di volontari della Protezione Civile, Ente Foreste e Barracelli, coadiuvati dagli uomini del Corpo Forestale.

Intervenuti dall’alto due elicotteri; il primo lancio è avvenuto alle 11:45. I tempi di “rotazione”, così viene chiamato il tempo tra un lancio e l’altro, sono stati di circa 4′.30″. Troppo lunghi se consideriamo che a poca distanza c’è la diga di Coxinas, inspiegabilmente piena d’inverno e vuota d’estate, la quale permetterebbe, anche al gigante Elitanker, l’approvvigionamento idrico dei mezzi aerei nella metà del tempo. Le operazioni di bonifica sono continuate sino alle 13.

Intervenuti sul posto anche la Polizia Locale e i marescialli Emilio Meloni e Giulia Fiori dei carabinieri di Villacidro per agevolare il transito dei mezzi di soccorso.

Apprensione e paura tra i residenti della via Garibaldi, fortunatamente il fuoco è stato appiccato in un versante sottovento. Ora è d’obbligo sorvegliare la zona perché il fuoco nei boschi di pino è particolarmente insidioso in quanto lo strato di aghi continua ad ardere nel sotto strato per poi riprendere vivacità, come già accaduto nel 2004 e nel 2007.

Il nucleo investigativo del Corpo Forestale sta indagando sull’accaduto. L’identità del piromane potrebbe avere le ore contate. (A. S.)

Villacidro.info – lunedì 29 agosto 2011

9 COMMENTI

  1. quest’anno é la seconda volta ke ci provano e sempre con il maestrale,dal 2004 quando hanno quasi distruto la pineta del carmine vogliono finire il lavoro,noi del quartiare siamo vigili e appena vediamo il fumo chiamiamo subito ma nn basta devo dire ke oggi siamo stati fortunati visto il vento xke queste bestie (nn trovo altro termine educato x definirli) colpiscono con il vento. Non capisco cosa provino a deturpare il paesaggio bellissimo del paese e sopratutto a mettere a repentaglio la vita d’intere famiglie visto la zona. Sono dei mostri se li prendono fanno qualche anno di galera e poi fuori forse e meglio che ci restino secchi nei luoghi dove appicano il fuoco 🙁

  2. Un azione senz’altro deplorevole in grado di distruggere in poche ore ciò che rimane della pineta. Tuttavia, per la sua conservazione, reputo insufficiente qualsiasi azione di controllo degli incendi, poiché senza appropriati interventi di rinnovazione il suo destino è comunque segnato: si stenta ancora a comprendere che anche gli alberi non vivono in eterno, anche se molte specie possono vivere migliaia di anni. Purtroppo i pini che costituiscono la pineta di Villacidro sono fra le specie meno longeve, e se esemplari isolati in condizioni ottimali possono eccezionalmente superare i 200-250 anni (come succede con i rari centenari nell’uomo)le pinete iniziano la fase di decadimento fra gli 80 e i 100 anni. La nostra pineta, impiantata tra anni 1888 e 1900 ha già iniziato la sua fase di decadimento, come è facile constatare osservando un grande numero di alberi in un cattivo stato di salute. Augurare ai piromani di rimanerci secchi mi pare eccessivo oltreché inutile, sarei più propenso ad educarli facendogli scavare delle buche per impiantare giovani pini nelle aree bruciate ed avviare la graduale e completa rinnovazione di tutta la superficie storica interessata dalla pineta: dopo diverse decine di anni di lavoro, in cui potrebbero anche vedere crescere le prime piante coltivate, sono certo che capirebbero quanto ignorante e stupida sia stata la loro azione.

    • approvo in toto tranne che per un punto: io nelle buche ci metterei altre essenze, lecci, querce, corbezzolo, in generale ricostituirei una sughereta attorno al paese. Un malaugurato incendio farebbe dimenticare il suo passaggio in meno di 10 anni.

      • In questo modo non consideri la rilevanza storico culturale della pineta: si potrebbe comunque giungere al compromesso del bosco misto. Bisogna anche tenere conto del fatto che i pini hanno una velocità di accrescimento notevolmente superiore alle specie da te citate, che il leccio ha accrescimenti lentissimi nei primi sette anni e la sua affermazione su suolo nudo è tra l’altro agevolato dall’ombreggiamento dei pini; che le piccole piantine di sughera hanno bisogno di molti anni per diventare resistenti al fuoco. Un incendio nei primi dieci anni di impianto porterebbe in ogni caso a risultati molto simili. Prima di buttare al vento altri soldi per l’ennesimo rimboschimento si dovrebbe quindi garantire un’azione di gestione continua. Altrimenti lasciamo le cose come stanno: c’è già una forte presenza di corbezzoli, che in fatto di meccanismi di resistenza al fuoco, pur con una diversa strategia, non hanno niente da invidiare alla sughera.

        • ok per il compromesso, un po di pini per fare ombra alle altre piantine… ho citato il corbezzolo perchè so che è il primo a vegetare dopo il passaggio del fuoco. come ho detto in altre sedi e anche qui sul blog, sarebbe bello creare una cornice di pini che via via si diradano man mano che si sale di quota per lasciare spazio alle piante più propriamente endemiche. Prima di far ciò bisogna però collegare la condotta dell’UNI45 antincendio alla dighetta di coxinas (da collaudare e tenere come riserva idrica).

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