Nuovi boschi nei terreni agricoli in disuso

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Il ritorno del bosco nei terreni agricoli abbandonati: osservazioni e considerazioni sui cambiamenti in atto nelle campagne di Villacidro.

Nel trattato “Principi di Ecologia” di Eugene P. Odum, una pietra miliare per gli studiosi di materie ambientali di tutto il mondo, un apposito capitolo è dedicato allo “Sviluppo ed evoluzione dell’ecosistema”; due brevi nozioni esposte nel suddetto capitolo sono necessarie come premessa alla spiegazione delle trasformazioni in atto in alcune aree del Comune di Villacidro interessate da coltivazioni agrarie in stato di abbandono colturale: senza entrare nei dettagli, per spiegare il fenomeno che andrò a descrivere e le conseguenze che da esso possono derivare, voglio semplicemente evidenziare la differenza fra “successione primaria” e “successione secondaria”; per chiarire cosa indicano i termini in modo semplice ed elementare si può dire che la “successione primaria” è quella che partendo dalla roccia madre o altri substrati sterili (es. lave vulcaniche), in periodi lunghissimi e sotto l’azione degli agenti atmosferici e degli organismi più primitivi (bacteri, muschi e licheni) culmina in un ecosistema stabile che, con il flusso di energia disponibile, è in grado di mantenere il massimo di biomassa. Il processo, che può durare milioni di anni, vede quindi un susseguirsi di comunità vegetali (muschi e licheni, felci, piante erbacee, arbusti ed alberi), che in ogni stadio modificano l’ambiente e creano le condizioni di suolo affinché possano insediarsi specie sempre più esigenti ed evolute: nelle nostre condizioni climatiche, ove non ci sono limitazioni podologiche, il processo culmina con la foresta di leccio. La “successione secondaria” si ha invece quando l’insediamento delle formazioni vegetali superiori si verifica in un terreno precedentemente dissodato per usi agricoli e poi abbandonato o su formazioni vegetali di origine naturale distrutte dagli incendi (nel presente articolo viene trattata, in modo semplificato, la sola successione secondaria su terreni agricoli).

Come accennato in premessa, nelle campagne di Villacidro della zona collinare e montana, sono in atto processi di rinnovazione spontanea di specie arboree che costituiscono i primi nuclei che condurranno a “successioni secondarie” edificate da specie forestali su terreni incolti: per quanto ho potuto osservare il fenomeno è in atto nei poderi abbandonati situati in località “Seddanus”, dove all’ombra di olivi, alberi da frutto e frangiventi si nota la diffusa presenza di numerose piantine di leccio che, se non disturbate, in tempi relativamente brevi (diverse decine di anni) ricostituiranno la copertura forestale in equilibrio con il clima; mentre nelle vallate che sovrastano la diga sul “rio Leni”, nei mandorleti abbandonati, talvolta anche percorsi da incendio, si nota una prevalente rinnovazione della quercia da sughero. Si tratta di specie con seme pesante (ghianda) e quindi la disseminazione, in aree anche molto distanti dalle piante madri, può essere avvenuta per gravità nelle zone in pendenza ed anche con il trasporto operato dalle acque meteoriche durante piogge di forte intensità, ma la distribuzione rispetto alla posizione delle piante madri e le linee di deflusso delle acque, rende plausibile che la disseminazione zoocora (tramite animali) abbia avuto un ruolo non indifferente: con tutta probabilità l’agente vettore principale è la Ghiandaia , della quale ho notato una forte presenza in località “Seddanus”. E’ infatti possibile che questo uccello si comporti in modo analogo alla Nocciolaia in ambiente alpino, la quale, in autunno nasconde sotto terra i semi di Pino cembro (un po’ più piccoli dei pinoli del Pino domestico) per mangiarli in un secondo momento, dimenticandone il 10-20% che germinando consentono la rinnovazione della specie in aree lontane dalla pianta madre (ogni Nocciolaia nasconde in diverse buche, dislocate in un raggio di 15 km, circa 10.000 semi all’anno); tuttavia tale ipotesi deve essere ancora accertata scientificamente, mentre è noto e facilmente osservabile che, nel nostro ambiente, la volpe diffonde i semi del ginepro attraverso le feci e che diversi uccelli disseminano, sempre attraverso le feci, olivastri, bagolari e diverse specie della macchia con semi appetibili che, insieme a pruni e perastri (con forte rinnovazione agamica per polloni radicali), possiamo ritrovare in questi boschetti di neoformazione. Il fenomeno della “successione secondaria” non può che essere considerato positivo da chi elogia ed auspica una riconquista dell’ambiente naturale modificato dall’uomo per dare spazio alle coltivazioni, ma analizzando le complesse dinamiche a livello territoriale il fenomeno desta anche delle motivate preoccupazioni.

Se tutto andrà bene e gli incendi non attraverseranno queste aree abbandonate, che diventano a forte rischio di innesco e propagazione, ci ritroveremo in futuro con dei boschi di neoformazione senza avere speso una lira per attuare rimboschimenti, tuttavia il processo, non adeguatamente guidato, non sarà sempre in grado di assicurare a breve termine la difesa idrogeologica esercitata dal bosco maturo e dalle opere di sistemazione dei versanti che volenterosi Villacidresi, avvezzi al duro lavoro, avevano scrupolosamente effettuato per consentirne la coltivazione: questi sono i fatti più preoccupanti, poiché al positivo ritorno del bosco in seguito all’abbandono colturale, si contrappone un considerevole aumento dei rischi di propagazione degli incendi verso le aree forestali esistenti e nel contempo la mancanza di sistemazione dei terrazzamenti, della pulizia e manutenzione dei canali di deflusso delle acque, può innescare forti fenomeni erosivi ed aggravare gli effetti di precipitazioni particolarmente intense. In sostanza, il mosaico creato dall’alternarsi delle aree forestali con aree agricole idrogeologicamente stabili benché antropizzate, contribuisce, oltre a caratterizzare il paesaggio, ad una maggiore difesa degli incendi: se prima un incendio che si propagava nella pianura poteva essere facilmente arrestato prima che raggiungesse le formazioni boschive, con l’aumentare delle aree incolte, il fenomeno diverrà sempre meno controllabile. Per scongiurare questo pericolo ed il dissesto idrogeologico, ove non ci sono più le condizioni per la coltivazione (mancanza di manodopera disposta ad operare in condizioni difficili e redditi bassissimi o negativi) le fasi che conducono alla successione secondaria dovrebbero essere curate e guidate dalla mano dell’uomo che dovrebbe favorirne una più rapida evoluzione in modo che la nuova copertura vegetale eserciti efficacemente l’azione di difesa idrogeologica e sviluppi i caratteri di resistenza alle perturbazioni che caratterizzano la vegetazione mediterranea: infatti, un bosco ben affermato reagisce in modo più efficace e si ricostituisce in tempi più rapidi dopo l’eventuale passaggio degli incendi che realisticamente non saranno mai debellabili del tutto, specialmente in ambiente mediterraneo.

La tematica delle “successioni secondarie” è molto interessante e stimolante e può essere un’importante argomento per una tesi universitaria, ma soprattutto dovrebbe fare riflettere sull’importanza di una seria attuazione delle politiche di gestione del territorio di cui purtroppo la politica non si occupa abbastanza e di conseguenza neppure gli organi istituzionali, a cui mancano gli imput ed i fondi per incoraggiare e favorire un’efficace gestione ambientale su scala territoriale, con grave perdita anche delle risorse economiche e delle opportunità occupazionali che una razionale ed attiva gestione del territorio può dare.

Mariano Cocco

Villacidro.info – 28 agosto 2012

16 COMMENTI

  1. Complimenti Mariano è sempre un piacere leggere i tuoi articoli e post…
    Per quanto riguarda la teoria della ghiandaia(sa piga)posso solo avvalorare tale ipotesi, visto ciò che sta acadendo nel mio mandorleto… i filari di mandorlo con a ridosso alcune querce, hanno quasi tutti vicino al tronco delle piccole sugherelle e son pure tante, sarà che ci sono 3\4 ghiandaie molto previdenti e laboriose!!! 🙂
    Spero che la tua voce possa arrivare chiara e convincente ai nostri amministratori, cosi da fargli capire l’importanza e le potenzialità del nostro territorio, magari decidendosi a sopperire in primis alla mancanza del progetto forestale che descrivi in altro articolo, cosi da poter cominciare a realizzare interventi che possano finalmente rimpiazzare il grande furto di legnatico operato dai monarchici e creando una cultura forestale sia civica che lavorativa, perchè se qualcuno se ne fosse dimenticato, “la foresta” se ben gestita può creare del redditto(stipendi no arricchimento) per tante famiglie. Con la re-istituzione dei cantieri forestali Comunali(come sta avvenendo nuovamente in tanti comuni sardi) si renderebbe il territorio più utilizzabile a livello turistico(es.Marganai e Perda e Pibera per restare vicini) e per di più si avrebbe un controllo umano del territorio, situazione che a mio parere diminuirebbe i reati ambientali(incendi e discariche in primis), senza dover riccorrere come si cerca di pubblicizzare ultimamente a riempire i nostri monti di telecamere e altre pseudo tecnologie, che servono solo ad accentuare il controllo sulla persone e ad arricchire pochi(sperpero di soldi pubblici) a discapito dei tanti!!!!
    Salludi a tottusu e arrispettai sa Terra!!! 🙂

    • Non per sminuire le competenze di Mariano. Ma ci sono anche altre figure professionali estremamente competenti che collaborano con le istituzioni. Certe informazioni sono già arrivate da tempo a chi di dovere, manca la volontà politica di fare.

      • La politica non si occupa abbastanza del settore e le competenze non mancano, ma essendo in Italia, vengono spesso affidate a mansioni diverse da quelle per le quali sono state formate: io rientro pienamente in questa categoria ed i forum costituiscono una delle poche occasione per “sfogarmi” e non tenere tutto per me il mio bagaglio di esperienza nel settore. La cosa non è consolante ma spero di fare un pochino di informazione che possa servire a qualcuno e a qualcosa

        • Fai bene a sfogarti, alimenti il senso critico di chi legge e dai tanti spunti di riflessione. Spero che ti venga voglia di affrontare anche la guerra contro la politica locale che nulla fa per cambiare lo stato delle cose.

  2. La successione secondaria è un processo molto lento dove interagiscono numerosi elementi naturali e che spesso vengono influenzati dall’uomo con le sue attività, in senso negativo, ma anche positivi.
    Spesso gli ambienti, o meglio gli ecosistemi, vengono sottoposti a stress per ragioni prettamente naturali, quali alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, ecc., ma nonostante tutto se non intervengono ulteriori fattori o elementi di disturbo, lentamente si ripristina lo stato originario dell’ecosistema, definito climax.
    Quando invece è l’uomo a creare questi fattori o elementi di disturbo in determinati ecosistemi, quali strade, centri abitati, lavorazioni agricole intensive, incendi, ecc., allora può verificarsi che la successione ecologica rispristini lo stato originario delle cose – fase climax – oppure può compromettere irreversibilmente quell’ecosistema.
    E’ abbastanza intuibile capire che se eliminiamo un bosco di macchia mediterranea per la costruzione di un’autostrada non ci sarà mai una successione ecologica e l’ecosistema verrà definitivamente distrutto. Ma se certe attività umane – definite di disturbo – intervengo in modo equilibrato e appropriato, quali il pascolo e l’utilizzo razionale dei terreni marginali per scopi agricoli, la successione ecologica riporterà in fase climax quell’ecosistema.
    Anche un incendio, benchè distruttivo, può portare ad una successione secondaria e riportare il boscho in fase climax, infatti vi sono esempi di sugherete percorse da incendio che, a distanza di molti decenni, hanno avuto quasi dei benefici dal passaggio del fuoco perchè si sono rinnovate, rinfoltite e rinvigorite.
    Con questo non significa che l’incendio è un fattore positivo per i boschi e per i suoli, tatt’altro è un elemento altamente distruttivo, soprattutto quando si ripete nel tempo perchè non permette il ripristino della fase climax, cioè la successione ecologica.
    Una successione ecologica può essere rappresentata anche dall’impianto delle pinete non per scopi paesaggistici, ma per la ricostituzione boschiva di terreni marginali o determinati suoli. Le conifere che utilizziamo in Sardegna, Pino domestico, Pino d’Aleppo e Pino marittimo, soprattutto le prime due, sono definite specie frugali e pioniere perchè hanno la capacità di adattarsi a qualsiasi substrato, ed essendo di rapido accrescimento, rispetto alle specie più nobili, quali il leccio e la sughera, favoriscono la protezione del suolo e lo sviluppo naturale delle plantule che nasceranno spontaneamente (essenze arboree, arbustive della macchia mediterranea, leccio e sughera), anche all’aiuto delle ghiandaie, o impiantate dall’uomo in consociazione con i pini. In questi casi, a distanza variabile, 30-60 anni, potremmo già diradare i pini per dare spazio alle essenze più nobili. Di converso, se l’uomo non interviene nel diradamento o il taglio, il processo di affermazione della macchia, del leccio e della sughera, avviene comunque, ma con tempi molto più lunghi – anche 100-200 anni. I Pini lentamente invecchieranno e incominceranno a cadere dando vigore alle essenze sottomesse e a formare nuove formazioni boschive.
    Ma stando a tema perchè ho detto questo? Perchè una successione ecologica molto vistosa, sotto gli occhi di tutti, è quella che si sta verificando nel versante fronte M.Omo – dove assistiamo alla colonizzazione di una miriade di ceppaie di leccio e sughera a seguito del disastroso incendio del 2007.
    Se non interverranno altri incendi, tra 50-70 anni in quest’area, ci sarà un bosco misto di leccio sughera e macchia mediterranea.
    In questo caso l’incendio non è stato favorevole a quell’ecosistema, ma semplicemente sta’ accelerando un lunghissimo processo naturale di successione ecologica.

    • Scusa se mi permetto di fare delle precisazioni su quanto hai appena detto riguardo alla successione nel “versante fronte M.Omo” ma non posso fare a meno di fare alcune precisazioni: una colonizzazione con ceppaie a seguito di un incendio non è un fatto possibile, perché la presenza delle ceppaie implica che gli alberi siano già presenti. La propagazione del leccio è iniziata molto tempo prima dell’incendio del 2007, con la disseminazione prevalentemente naturale avvenuta sotto gli alberi di pino ancora fitti (negli anni novanta o poco prima, in alcune aree ci sono stati anche diradamenti e sono stati impiantati lecci sotto copertura), che, dopo anni di accrescimenti stentati per scarsa luminosità, hanno iniziato a svilupparsi in modo considerevole quando il grado di copertura dei pini ha iniziato a ridursi per invecchiamento naturale (il quale predispone i pini a maggiori attacchi parassitari e comporta una maggiore mortalità), facendo aumentare la luminosità e consentendo anche l’ingresso della sughera e della piante della macchia più esigenti di luce: in questo caso il fuoco ha accelerato la morte dei pini già in un cattivo stato vegetativo, ma le specie arboree che hanno reagito al fuoco emettendo polloni erano in larga parte già presenti negli strati inferiori della pineta, destinata ad estinguersi quasi del tutto in tempi abbastanza rapidi (30-50 anni in campo forestale non sono considerati tempi lunghi)a meno di specifici interventi per favorire la rinnovazione del pino. Comunque il processo di successione c’è ed è abbastanza avanzato.

    • Questo intervento solleva un problema grandissimo, che riguarda la costruzione di manufatti operata dall’uomo: è stato evidenziato che dove si costruisce una strada il ritorno della vegetazione diventa molto difficile, e purtroppo non ci stiamo limitando a costruire strade, che comunque hanno una loro utilità (anzi ritengo che queste siano spesso sottodimensionate ) ma stiamo consumando i terreni agricoli più fertili (quelli di pianura) per costruire sconfinate distese di centri commerciali, capannoni, ed infrastrutture sulla cui utilità è lecito avere forti perplessità. Quando percorro la vecchia 131, nel tratto che da Cagliari arriva quasi a Monastir, rimango sbalordito dall’avanzamento di questi manufatti, con a contorno giganteschi parcheggi, che hanno occupato superfici enormi fino a pochi decenni interessate esclusivamente da vigne e coltivazioni agrarie.
      Sono stupito per come al comune cittadino sia reso difficile o impossibile l’ampliamento di un balcone, di una finestra o di pochi metri quadri dell’abitazione, che non comportano nessun impatto ambientale o lo comportano in misura molto ridotta, ed invece si consente l’avanzamento di questi mostri, magari sostenendoli anche con aiuti pubblici. Penso che le pubbliche amministrazioni, le associazioni ambientaliste ed i cittadini che si interessano d’ambiente concentrino troppo la loro attenzione su fatti meno rilevanti, mentre sotto i loro occhi si stanno perpetrando delle alterazioni ambientali di vaste proporzioni che mutano radicalmente e spesso in modo irreversibile l’assetto ecologico e paesaggistico del territorio: la difusa costruzione di questi manufatti su rilevanti estensioni agricole comporta di fatto alterazioni ambientali ben più gravi ed irreversibili di un incendio boschivo, ma il fatto di percepire il bosco ed il terreno agrario come ambienti separati impedisce di vederne la gravità.

  3. Mariano stiamo dicendo la stessa cosa, ma ben venga la precisazione sull’aspetto delle ceppaie perchè anche altri potrebbero aver capito diversamente.
    La maggior parte del versante Nord della nostra pineta, per intenderci fronte M. Omo, è costituito da piante di leccio, sughera e macchia, presente nei vari stadi dinamici di evoluzione, ma che non riescono ad affermarsi perchè sottomesse al Pino domestico e d’Aleppo. Queste piante, attraverso un processo molto lento, man mano che i pini invecchiando moriranno prenderanno il sopravvento ed allora la pineta sarà convertita in fustaia di leccio e sughera in consociazione con la macchia.
    Il versante colpito dall’incendio del 2007 ha favorito lo sviluppo delle ceppaie di latifoglie, già presenti sul terreno. Il fuoco ha fatto tabula rasa livellando il suolo, ma le ceppaie di leccio e sughera, ora che il pino è totalmente assente, hanno colonizzato il versante con numerosi polloni alti già 50-70 cm.
    Mi confermi che hai visto il versante, ma immagino che condividerai che questa successione è è una meraviglia della natura.
    Andate a vedere questo versante perchè è una meraviglia della natura. Questo è un processo di successione.

    • E’ sicuramente un posto molto rappresentativo (se consideriamo tutta la fascia montana che circonda l’abitato abbiamo svariati esempi di dinamiche vegetazionali sia naturali che indotte dall’uomo, una meraviglia per chi sa osservarle e una palestra per gli studiosi della materia), ma ricordiamoci che questa meraviglia della natura è stata resa possibile dalla lungimiranza dell’agronomo Pischedda , che 122 anni fa inizio a dirigere l’impianto dei pini con lo scopo di migliorare il suolo e consentire il ritorno del leccio in un aree dove la copertura forestale era oramai del tutto compromessa. Il ritorno del leccio in un area priva di copertura non sarebbe altrimenti stata possibile in tempi così brevi (122 non sono tanti rispetto al ciclo completo di decadimento e rinnovazione della lecceta che è di circa 500 anni). In questi tempi è di moda considerare l’opera dell’uomo sulla natura in termini per lo più negativi, ma bisognerebbe rendersi conto che nel nostro contesto sociale ed ambientale è molto più negativo l’abbandono colturale.

  4. Se la cosa può interessare, Secondo R. del Favero, il ciclo del querceto di leccio in assenza di disturbi è il seguente:
    -inizio fase di decadenza, dalla durata di circa 50 anni,che si sovrappone alla fase di rinnovazione: con l’invecchiamento le chiome degli alberi diventano più rade e si aprono dei gap, solo allora si crea una sufficiente luminosità che consente alla rinnovazione di insediarsi anche se gli sviluppi sono ridotti; si forma una struttura costituita da un piano dominante, costituito dai vecchi alberi ed un piano inferiore costituito dalla rinnovazione – struttura biplana;
    -fase di sola rinnovazione dalla durata di 20-30 anni (gli alberi vecchi sono morti) e cìè solo rinnovazione.
    -fase di competizione, dalla durata di 30-40 anni, gli alberi iniziano a differenziarsi ed i più vigorosi prendono il sopravento causando la morte dei soggetti più deboli e si ha una struttura monoplana;
    -fase di stabilizzazione dalla durata di 350-380 anni. In queste ultime due fasi, la bassissima luminosità dovuta al forte ombreggiamento del leccio, non consente la sopravivenza di altre specie ed anche la rinnovazione del leccio, benché sia una specie tollerante all’ombreggiamento, non riesce ad insediarsi. Dopo questo periodo si ritorna alla fase di decadenza, nella quale riescono ad insediarsi anche specie diverse dal leccio che difficilmente ( a meno di disturbi- tagli incendi ecc) riusciranno ad andare oltre la fase di competizione, dove il leccio non risparmia nessuna specie.
    Ho potuto constatare che spesso si pretende ( anche da parte di addetti al settore), che la rinnovazione sia sempre presente e che la sua mancanza venga interpretata come risultato del disturbo esercitato dall’uomo e dal pascolo: il ciclo descritto chiarisce che la rinnovazione è possibile solo in certe fasi e la sua assenza è un fatto naturale quando ci troviamo in una lecceta a copertura colma.

  5. Per avere un migliore idea di come si svolga il ciclo sopra descritto, studiato nella foresta di Orgosolo, dobbiamo immaginare che le diverse fasi avvengano simultaneamente in territori non molto vasti: per es. se prendiamo una superficie di 50 ha, già al suo interno potrebbero coesistere parcella nei diversi stadi di ciclo (aree in fase di decadenza , di competizione, di stabilizzazione di rinnovazionee), come tessere di un mosaico. Questo tipo di foresta se attraversato da un fuoco intenso e prolungato viene distrutta, in questo caso la successione (caso di successione da incendio regressiva) riprende dalla gariga, successivamente si insedia il ginepro fenicio e più tardi il corbezzolo e l’erica che tendono a prevalere. La rinnovazione del leccio avviene principalmente sotto i ginepri che lo proteggono dal pascolo, i tempi di ripristino della lecceta dipendono da una serie di condizioni, ma sono sicuramente lunghi. Nei nostri querceti (basali-submontani, che presentano cicli che si discostano da quelli del lecceto montano tipico pur mantenendo importanti analogie), il bosco viene raramente distrutto, poiché le piante di leccio sopravvivono e cambiano la tratteggia riproduttiva, rinnovandosi per polloni subito dopo il passaggio del fuoco (incendi che si ripetono con elevata frequenza favoriscono comunque una regressione a formazioni a macchia ad erice e corbezzolo, macchia a cisto, gariga ). Questa proprietà di reagire ad un disturbo cambiando il ciclo e la strategia riproduttiva, che diventa prevalentemente per polloni, è stata da tempo sfruttata per produrre legna da ardere, il cui prelievo (taglio colturale) provoca la rinnovazione del bosco garantendone la continuità, e , se condotto adottando i necessari accorgimenti, non causa una sostanziale alterazioni delle funzioni da questo esercitate e può favorire una maggiore convivenza del leccio con la sughera e altre specie della macchia. Se i tagli attuati con criterio e razzionalità possono costituire una risorsa, gli incendi sono in ogni caso indesiderabili, perché consumano rapidamente la sostanza organica, causano notevoli perdite di nutrienti, sono difficilmente controllabili e dove c’é un uso produttivo del bosco portano alla perdita delle produzioni.

  6. Nell’articolo, parlando della propagazione del leccio per opera della ghiandaia ho scritto che “tale ipotesi deve essere ancora accertata scientificamente”, ebbene mi sono sbagliato, non ne ero semplicemente a conoscenza, infatti di recente ho visto un documentario che riguardava la ghiandaia e dagli studi risulta che ognuna nasconde circa 5.000 ghiande all’anno; l’osservazione era quindi giusta, anche se non sono mai riuscito a coglierla sul fatto, si tratta proprio dell’opera di questo uccello che ha un’intelligenza sbalorditiva, infatti trova delle soluzioni a problemi che mettono in difficoltà un bambino di sette anni e se, mentre sta nascondendo la ghianda, si accorge di essere osservata da un altro animale fa la finta e va a nasconderla da un’altra parte.

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