Aree incolte o percorse da incendio vengono colonizzate da specie vegetali aliene come l’ailanto e le mimose.
Forse per abitudine alla loro presenza o per scarsa conoscenza della flora locale a molti sfugge la diffusione, nelle nostre formazioni naturali, di specie vegetali arboree introdotte dall’uomo e divenute invasive. In genere la specie aliena, che più di altre attira grosse antipatie, è l’eucalipto, che comunque raramente riesce ad espandersi oltre gli spazi dove è stato coltivato, mentre poca attenzione viene prestata alla presenza di specie del genere Acacia e Ailanthus, con una capacità di rinnovazione ben più elevata ed in grado di invadere le formazioni vegetali di origine naturale, sottraendo spazio e risorse alle specie autoctone e precedendole nei processi di “successione secondaria” nei terreni agricoli abbandonati.
Fra le principali e più temibili specie invasive troviamo l’ailanto (foto in basso) che è un albero originario della Cina, introdotto in Italia nel XVIII secolo come pianta da giardino; si tratta di una specie, che grazie alla rapidità di accrescimento e la grande capacità di disseminazione per via anemocora (disseminazione operata dal vento), facilitata dalla presenza di un seme alato, invade rapidamente i terreni incolti. In località “Leni” ho potuto notare come la specie invade gli agrumeti abbandonati e la facilità con cui si insedia facilmente al piede degli alberi ancora in coltivazione, dove sfugge alle lavorazioni meccaniche, superando il metro di accrescimento in un solo anno se non prontamente sradicata.
Studi condotti in USA (Heisey 1990/96 e Lawrence et al. 1991) hanno dimostrato che l’ailanto contiene sostanze allelopatiche concentrate soprattutto nella corteccia radicale, che inibiscono lo sviluppo delle altre specie che si trovano nelle sue vicinanze ed anche i semi possiedono delle sostanze che inibiscono la germinazione dei semi delle altre specie. L’ailanto trova delle limitazioni alla sua diffusione nei terreni poco profondi e siccitosi, ma una volta insediatasi è di difficile eradicazione, in quanto si rinnova abbondantemente anche per mezzo di polloni radicali in seguito al taglio del fusto. Un’altra zona di Villacidro, dove è vistosa la sua presenza e la sua forte invasività, si trova nelle aree più umide ai piedi della cascata de “Sa Spendula” dove sta colonizzando le sponde del “rio Seddanus” (a monte della cascata “rio Coxinas”) e sta sottraendo spazio alle specie autoctone: degli esemplari con un’abbondante fruttificazione sono ben visibili ai piedi del ponticello in legno che dal piazzale antistante la cascata conduce alla sorgente che si trova dall’altra parte del torrente.
Non meno invasive risultano le piante del genere acacia (foto copertina), piante originarie dell’Australia e della Tasmania comunemente conosciute come mimose, delle quali si nota una preoccupante diffusione di diverse specie, sia adatte alle zone umide che ai terreni assolati e siccitosi:
- l’acacia mollissima (Acacia mearnsii De Wild) si trova principalmente lungo il “rio Leni”, dove la sua cospicua diffusione inizia in un lungo tratto del corso d’acqua al di sopra della diga e si protende verso valle a discapito di ontani, salici ed altre specie autoctone ;
- l’acacia floribunda (Acacia retinoides Schlecht) e altre mimose ( Acacia dealbata Link, Acacia saligna Labill) devono invece creare delle preoccupazioni in località Narti dove un miscuglio di queste specie ha invaso ampie arre insediandosi dove la lecceta è rada, in alcuni lembi di pineta e nelle aree percorse da incendio. In genere il seme di questa specie è piccolo e non ha una grossa mobilità, pertanto l’abbondante disseminazione avviene principalmente nei pressi della pianta madre, ma nei versanti in pendenza può essere anche diffuso facilmente a valle per effetto del trasporto operato dalle acque.
Anche se al momento non ho trovato riscontri scientifici come nel caso dell’ailanto, le modalità con cui questa si è diffusa in aree aperte e potenzialmente occupabili da specie nostrane, fa pensare che anche queste specie producano possibili effetti allelopatici che inibiscano l’insediamento e lo sviluppo di altre specie. Anche le acacie reagiscono al taglio rinnovandosi con l’emissione di abbondanti polloni radicali, la cui emissione è favorita in modo naturale dalla particolare facilità con la quale si spezzano grosse branche o si schianta l’intero albero per effetto del vento, conferendo alle superfici forestali invase un aspetto caotico e favorendo un accumulo di materia secca che diviene particolarmente insidiosa in caso di incendio.
Mariano cocco
Villacidro.info – 10 settembre 2012
le materie secche ci son sempre in campagna,e fan parte di un ecosistema.chi incendia o perkè è stupido è nn ama la propia terra,o c’è del lucro.mimose, acacie ed eucaliptus,a quanto ho visto hanno creato degli habitat naturali per la fauna.visto ke questi habitat stanno scomparendo,anke a causa degli sfalci intensivi,creati dalla regione x la campagna antincendi.la pulizia intensiva x prevenire gli incendi,e anke ridurre gli habitat naturali ke fan parte soppratutto di campi incolti.poi e insignificante,tagliare l’erba e lasciarla li,visto ke il fuoco ci cammina comunque.il solo significato è desertificazione.vedi anke colline e pianure circostanti,non esiston più i campi con le erbacce!!il paesaggio è cambiato,e la flora e la fauna nn c’è più!!
Negli ambiti appropriati e controllati, anche le specie esotiche come eucalitti e acacie possono avere una loro utilità (produzione miele e legname)ma sono ben lontani dal creare habitat naturali e difficilmente instaurano rapporti di simbiosi con fauna e flora locale, invece quando vengono introdotti nelle nostre formazioni di origine naturale e sottraggono spazio alle specie nostrane costituiscono un danno anche per la fauna che si nutre dei loro frutti (bacche di ginepro, corbezzolo, ghiande ecc). Il forte accumulo di sostanza secca nei boschi con forte rischio di incendio costituisce una minaccia aggiuntiva, poiché gli effetti degli incendi ed il loro controllo sono ben diversi: se manca il combustibile il fuoco raggiunge temperature più basse e quindi oltre ad essere estinguibile con più facilità crea danni minori, mentre con temperature superiori agli 800 gradi viene modificato il suolo e molte ceppaie non ricacciano, come invece avviene in modo più consistente con temperature più basse di qualche centinaio di gradi. In quanto alle campagne io noto un maggiore abbandono e non vedo tutta questa frenesia nel porre “eccessive cure”: se parliamo di altri impatti dovuti alle tecniche agronomiche è un altro discorso.
io parlavo di colline e pianure!!lontani non penso!gli eucalipti,a quanto ne ho visto e vedo,son le uniche e poche piante che esistono in pianura,togliamo pure quelle?son gli unici posatoi e ombregiatori e dormitori,per molti uccelli, i campi son come dei biliardi,non offrono ne riparo ne cibo per la nostra fauna locale.voi vedete solo,ma non toccate con mano.la pernice,specialmente nei periodi di siccità come quest’anno,beveva dalla rugiada ke si depositava nelle sterpaglie.in molte zone lungo le coste della sardegna,dove domina la macchia con l’intrommissione della mimosa,ospitano numerose specie di animali selvatici,vedi(conigli,lepri ,volpi,pernici ed in alcuni casi anke cinghiali.i terreni ke dici tu abbandonati,son in montagna,e son quelli lasciati in mano ai maiali allo stato brado.non nascon più neanche i ciclamini!!son tra gli unici animali,ke ne mangiano i tuberi di tutto e di più,figuriamoci un piccolo di cervo,o di qualsiasi altra specie animale…..
poi i rimboschimenti approvati dalla regione ad eucalipto, ci son da tanto,vedi is campus de monti e a monti mannu,lungo il leni.anche il pino se andiamo a vedere,non appartiene alla nostra flora,
eppure si sente la mancanza della nostra pineta!!!
in localita tuvois,dopo esser stata di nuovo incendiata,e stato eseguito il taglio sulle piante morte nella pineta e si è pensato bene di lasciar li i tronchi per favorirne gli incendi o che?che come dici(e ti do ragione) portano in caso d’incendio,l’aumento delle temperature del suolo.secondo me le cose in natura stan ben come stanno,se noi non ci mettiamo la mano,ci pensa lei ad aggiustarsi da sola.basterebbe solo che si rispetasse
Non mi pare che nell’articolo ed il post esposto di seguito stia facendo una campagna contro le specie esotiche, ma bensì sulla minaccia che queste costituiscono per la vegetazione di origine naturale quando introdotte in modo inconsapevole ed inappropriato: ben vengano le specie esotiche quando vengono usate nel giusto modo e nel giusto contesto. I pini, in particolare quelli mediterranei, non sono specie invasive e secondo alcuni studiosi sono auctoctoni o comunque naturalizzati ( Buggerru-Porto Pino, Limbara)e per mantenerli nel nostro ambiente (intendo a villacidro) devono essere accuditi dall’uomo altrimenti scompaiono. Purtroppo la natura non aggiusta tutto come pensi e talvolta aggiusta le cose in modo sconveniente per l’uomo creando anche dei rischi e situazioni inospitali: l’uomo interagisce in vario modo da millenni con essa e sono del parere che l’intervento su di essa non debba essere visto sempre come distruttivo ma debba essere visto anche come un rapporto simbiotico; la Nocciolaia di cui ho parlato nell’articolo sulle “successioni secondarie” era un tempo ritenuta una calamità per il pino cembro, perché si era osservato che consumava una grande quantità di pinoli, fino a quando si è scoperto che questo suo interesse per i pinoli era vitale per la propagazione dell’albero, con cui ha quindi instaurato un atavico rapporto di simbiosi. Per analogia l’interesse che l’uomo può avere per la coltivazione e la cura dei boschi (sempre più consapevole e arricchito dalla conoscenza scientifica, spesso vanificata da ideologie , da cui non sono scevri anche esponenti del mondo scientifico) può essere un beneficio per entrambe: un professore ed amico, uno dei più autorevoli ricercatori nel campo della biodiversità vegetale, sostiene che il modo migliore per tutelare la biodiversità è quello di usarla. A mio parere un grande problema che sta vivendo l’uomo moderno è quello di avere perso il rapporto puro che qualsiasi animale ha con l’ambiente allantanandosi sempre più da esso: la nocciolaia usa i pinoli per sfamarsi e non si preoccupa di quanti ne mangia, perché la natura le ha dato l’intelligenza necessaria perché questa fonte non venga persa; l’uomo per millenni ha interagito con la natura con l’intelligenza atavica ed inconsapevole della nocciolaia, che faceva in modo che la risorsa che gli dava sostentamento venisse usata, anche in modo consistente, senza essere distrutta. Ora tale “intelligenza ancestrale” è stata sostituita ed ha consentito all’uomo di svincolarsi da questo rapporto e quindi di fare anche dei danni (è innegabile che ne abbia fatti tanti), ma è sbagliato considerare qualsiasi azione che l’uomo compie sulla natura negativa, anche se talvolta può apparire distruttiva, perché vista con lo stesso occhio di chi superficialmente osservava la nocciolaia e vedeva solo quello che consumava ma non l’opera che svolgeva come coltivatrice.
Dimenticavo di ringraziarti per essere intervenuto, perché ognuno può avere le sue idee e la cosa migliore e sempre discutere in modo costruttivo. Vedo che hai i geni buoni del villacidrese che apprezza gli alberi e nei tuoi interventi hai fatto delle osservazioni interessanti: sarebbe inopportuno fare la guerra agli euclitti di M. Mannu che oramai fanno parte della sua storia forestale (e trovo anche belli da vedere nella loro maestosità) benché siano specie esotiche, come è importante salvaguardare ciò che rimane della pineta, anche essa un bene storico, culturale e paesaggistico di Villacidro. Voglio evidenziare che la pineta di Is Arenas (OR) uno dei più grandi rimboschimenti d’Europa (circa 1000 ettari) è riconosciuta come un sito di interesse comunitario, malgrado la sua origine artificiale, come pure le abetine di Vallombrosa (Toscana) impiantate dai Monaci Benedettini che nessuno si sogna di espiantare perché non autoctone.
UNA STORIELLA ARBURESE…
a proposito di costa Arburese….
Sapete di cosa si sta occupando il nostro ineffabile “Ciuffetto bianco”? Ovviamente con la complicità della amministrazione comunale?..
Hanno affidato ad un professionista torinese, esperto in sentieri di montagna, (come se non esistessero i professionisti locali in grado di progettare la sistemazione di sentieri già tracciati, perchè la forestale non permette la apertura di sentieri nuovi) di progettare,tra l’altro, la “eradicazione del Carpobrotus acinaciformis (le ben conosciute lingue di suocera) da un tratto di costa di due kilometri tra le zone di Maga e Piscinas, per fare da battistrada ad una nuova moda: la ERADICAZIONE DELLE SPECIE INVASIVE ALLOCTONE.
Non me ne voglia il buon Mariano, espertissimo del problema ma che si dichiara assolutamente all’oscuro del progetto pur essendo la figura più qualificata per esprimere un parere in quella struttura, ma…. mi domando:
Pensate voi che i NOSTRI SOLDI, in un momento di crisi così drammatica possano venir dilapidati in una opera assolutamente inutile e inquinante come quella di raccogliere e accatastare tutte quelle erbacce che comunque fanno parte ormai del paesaggio? e quando dico inutile e inquinante so di cosa parlo.
Parrebbe che il brillante progetto preveda di raccogliere TUTTA la massa di materiale strisciante che ricopre un buon tratto delle nostre spiagge, o piuttosto delle zone retrostanti, e accatastare questa massa per darle fuoco!!
Provate voi ad accatastare centinaia di TONNELLATE (perchè se è eradicazione queste sono le quantità) di materiale simile alle pale dei fichi d’india e bruciarle!!!!a questo punto sono parecchie le domande che un povero agricoltore, già reso ricco dalle brillanti iniziative del tocco provinciale quale la elicicoltura, il melone in asciutto, la coltivazione intensiva delle leguminose da granella toccasana per il bilancio della CO2 del pianeta, i prodotti a km0, insomma, di tutto quel grande ed Organico, sopratutto organico,progetto dal nome di Vivere la Campagna (ma io sto in città) che finora ha drenato i fondi di questa disastrata provincia,
dicevo il ricco agricoltore che passando attraverso le splendide boscose colline per arrivare alle spiagge bene amate vedesse le squadre di operai indaffarati a spogliare le dune di questi materiali per accatastarli in grandi mucchi (dove?), si domanderebbe : ed ora? come distruggeranno questa massa per tre quarti fatta di acqua???
Ma come! non lo sapete?? Il tocco provinciale ha fatto un grande patto con l?Emiro dell’Oman che ,in cambio di una nave di ceci e lenticchie (e fave) fornirà al grandioso progetto, indispensabile per la CO2 mondiale, UNA PETROLIERA di nafta, sufficiente a mandare al creatore tutte queste brutte erbacce!!!!!!!!
E così ricchi di ceci e di sventura, i nostri agricoltori vedranno salire in cielo con le nuvole di fumo puzzolente di CRESURA i soldi che avrebbero potuto essere utilizzati per pagare meglio i loro bravi ragazzi che d’estate cercano di ragranellare due soldini vegliando con grande rischio sulla vita dei bagnanti dei 47 kilometri di coste arburesi….
Nel seguito, alle prossime puntate, vedremo le povere spogliate dune di Piscinas che un anno dopo la grandiosa impresa si rivestiranno gloriosamente di una bellissima fioritura rosso-viola di.. udite-udite….CARPOBROTUS ACINACIFIRMIS,