Le suggestive immagini del restauro del 2009 accompagnano questa sintetica cronistoria della chiesa parrocchiale di Santa Barbara a Villacidro.
“La costruzione della parrocchia di Villacidro rimonta al 1200”. A questo periodo fa risalire le origini della chiesa parrocchiale di Santa Barbara, Salvatore Manno (in “Villacidro. Iridescenze….) La notizia sembrerebbe attendibile perché trova d’accordo vari studiosi che si sono occupati, in qualche modo della chiesa.
L’architetto Guido Vascellari, in una relazione del 1960 per il progetto di ampliamento della chiesa stessa (realizzato poi nel 1965-67) rileva che molte sono state le modifiche apportate nei secoli all’edificio. In origine era una costruzione modesta, col tetto a capanna, adatta alle esigenze di una piccola comunità di contadini e pastori. Fu alla fine del 1300 e all’inizio del ‘400 che la sua fisionomia cominciò a mutare. Lo stile gotico arrivò anche in Sardegna e una nuova costruzione si sovrappose all’antica struttura: furono edificate tre navate a croce latina, con tre cappelle nelle navate laterali, separate l’una dall’altra. La volta della cappella era a crociera costolonata (com’è l’attuale abside) e il tetto, di legno, sorretto da architravi.
L’abside ci può dare un’idea dell’intera struttura di un tempo: la sua severa imponenza e le sue linee ascendenti denotano la tensione verso l’alto resa plasticamente evidente dalle quattro ardite linee che si intrecciano nella volta, dando al tutto armonia e solidità.
Nel XVII secolo l’edificio subì altre modifiche: le cappelle laterali furono rese intercomunicanti; il tetto di legno delle stesse fu abbattuto e rifatto a cupola, così com’è ora; la navata centrale voltata a botte.
Ai lati della facciata esistevano due campanili. Uno di questi, quello tuttora esistente, come risulta dai registri della Curia Vescovile di Ales, risale al 1760. Per accedere fino al pianerottolo delle campane bisogna salire per 80 gradini. L’altro, già in rovina, fu abbattuto nel 1828. Nel 1960 fu redatto dall’architetto Guido Vascellari un progetto per l’ampliamento della chiesa. La somma prevista era di 70 milioni di lire.
Sono state realizzate varie trasformazioni e apportati ampliamenti. Leggiamo nel “Liber Chronicus” della Parrocchia, dovuto a mons. Giuseppe Diana: «…dal 1964 al 1967 un primo stralcio di lavori per 13 milioni, cioè conversione della sagrestia in cappella, sagrestia nuova ed ufficio parrocchiale, sistemazione del cortile retrostante alla parte nuova, con muraglia e cancellata. Nello stralcio era contemplato anche lo spostamento dell’altare indietro fino al muro del coro, ma i lavori furono sospesi per insufficienza di fondi».
Nelle pareti dell’abside stanno pregevoli affreschi, non molto antichi: a sinistra un’Ultima Cena realizzata da un ignoto internato austriaco nel 1917, a destra una scena sacra che si ispira all’Eucarestia. Nel coro, dietro l’altare, due angeli musicanti su sfondo blu. Sempre nel coro si apre una finestra ai lati della quale sono raffigurati due santi (Pietro e Paolo?).
Al centro sta l’altare maggiore, maestoso nella sua austerità, ricco di putti e di angeli che hanno sia la funzione di cariatidi, quasi a sorreggere i vari piani di cui si compone l’altare, sia quello di arricchire il moto ascensionale dell’altare per accentuare il senso del sacro. Motivi floreali stilizzati creano un intreccio elegante, dando leggerezza e ariosità all’insieme. Sul davanti sono tre medaglioni ovali dove sono raffigurati Santa Barbara al centro, San Sisinnio che sottomette “su cogu” a destra e San Pietro a sinistra.
La costruzione dell’altare risale al 1750 e della stessa epoca è pure la fonte battesimale. L’abside è delimitata anteriormente da una balaustra in marmo bianco e bruno. Oltre all’altare maggiore esistono gli altari laterali, più recenti. Il più antico di questi è quello dedicato a San Luigi.
Il portone della chiesa risale al 1827 e fu costruito dai fratelli Giorri. La tribuna dov’è attualmente situato l’organo (prima era nel coro) fu costruita nel 1913 dal falegname Collu Giuseppino. L’organo fu costruito nel 1757 da un certo Jorge Volanty.
Al 1750 risalgono il mobile della paratora (dove si mettono gli arredi sacri) e il coro, finemente intagliati in noce. Il pulpito è in marmo finemente scolpito con motivi floreali e l’immagine di Santa Barbara. Pure nel baldacchino che lo sovrasta è raffigurata l’immagine della santa. Di Santa Barbara esiste nella parrocchia una stata lignea laccata in oro zecchino.
Diversi sono gli oggetti sacri in possesso della chiesa: un reliquiario della vera croce del 1764, in argento; un reliquiario di San Sisinnio, pure in argento, del 1700; due turiboli in argento; una croce lignea intarsiata di madreperla, molto antica; parecchie statue di legno, antichissime: B.V. della Mercede, B. V. delle Grazie, S. Raffaele, S. Efisio, Santa Barbara di autore sardo, ostensori e croci d’argento.
Dove prima era la sacrestia (ora trasformata in cappella) sta un enorme crocifisso di probabile fattura spagnola: l’espressione scarna e drammatica del Cristo fa pensare all’arte della Spagna durante la Controriforma dove l’ardore mistico si manifestava in forme esasperate e surreali.
In cima al campanile stanno tre campane: la maggiore, detta di Santa Barbara è alta cm 80 e larga cm 85. Risale al 1722 e porta la scritta “ in honorem Beatae Mariae Virginis et Sanctae Barbarae, oppidi Villa Sydro”. La seconda, detta di San Sisinnio, fu fatta rifondere nel 1884, con offerte del popolo dal parroco Francesco Sardu. E’ alta cm 65 e larga cm 70. La terza, più piccola, risale al 1858, parroco Vincenzo Usai. E’ alta cm 55 e larga cm 60. Nel 1992 l’antico portone in legno fu sostituito da uno in bronzo, dell’artista Gianni Argiolas, parroco don Modesto Floris. Nel 2006 si procedette a un intervento di restauro e conservazione del campanile, parroco don Giovannino Pinna. Negli ultimi anni sono stati effettuati alcuni interventi alle volte delle cappelle e sono stati scoperti frammenti di vecchi affreschi.
Gian Paolo Marcialis