Disoccupato passa tutto il giorno su Facebook e rifiuta un colloquio di lavoro

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In tempi di crisi può accadere anche questo.

Il fatto è avvenuto qualche giorno fa e inizia con una telefonata tra due amici e nel rispetto della fonte che ha chiesto di rimare anonima, non faremo nomi e cognomi e ci limiteremo a raccontare il singolare episodio.  “Ciao, ma non è che potresti parlare con quella persona per farmi fare qualcosina?”. Dopo qualche giorno l’amico gli fa ottenere un colloquio con un responsabile di una grossa agenzia pubblicitaria, con il benestare di una molto influente (sempre dello stesso gruppo societario). L’amico lo chiama immediatamente per dargli la bella notizia: “Sono riuscito a farti ottenere un colloquio con un responsabile e per il momento l’unica cosa che potresti fare e vendere della pubblicità, ma al colloquio ti diranno meglio. Poi, da cosa nasce cosa”. La risposta disarmante dall’altra parte del telefono: “Ma io no vado a vendere pubblicità, non ho i soldi per mettere gasolio, ne vedo tutti i giorni di quegli annunci… non ci vado, tanto so come funziona”. L’amico incredulo gli risponde: “Ma non stai andando a fare un colloquio per un annuncio sul giornale, ci stai andando perché una persona molto influente (di una delle società più grosse della Sardegna) si è raccomandata per farti fare qualcosa”. Lui continuò a dire che non ci sarebbe andato e così fu. Il giorno dopo si scopre che non avrebbe solo potuto vendere pubblicità, avrebbe avuto un fisso e collaborato anche per altro. Quanti sarebbero andati al colloquio con i tempi che corrono? Chi ha voglia di lavorare ci sarebbe andato ad occhi chiusi.  

La vita è strana e queste sono solo alcune delle storie che viviamo quotidianamente. Se questa persona non passasse tutto il giorno su Facebook a postare link contro Grillo e avesse speso il 10% di queste ore per cercare lavoro, probabilmente qualcosa da fare l’avrebbe trovata”. Meglio continuare a lamentarsi: “Non c’è lavoro, sono senza soldi (ma ti vedo spesso al bar)”. A tutti piacerebbe stare dietro una scrivania a guadagnare tanti soldi e non fare un cavolo: questo lo vediamo nei film, la nostra realtà è ben diversa.                 
Cosa porti i giovani a rifiutare qualsiasi tipo di lavoro onesto, ma “faticoso”, si fa per dire, non è dato saperlo con certezza. Forse alla base c’è stata una educazione troppo permissiva che non ha consentito ai propri fogli di assaporare una vita reale a causa dei troppi vizi, assecondandone richieste senza mai metterli realmente alla prova. Questo ha fatto perdere il valore dei soldi che troppo spesso genera comportamenti scorretti per la propria vita e quella altrui.
Siamo sicuri che sia tutta colpa della crisi?  

Villacidro.info

In merito all’articolo in questione, si precisa che i giornalisti sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse. Il giornalista deve sempre verificare le informazioni ottenute dalle sue fonti, per accertarne l’attendibilità e per controllare l’origine di quanto viene diffuso all’opinione pubblica, salvaguardando sempre la verità sostanziale dei fatti e comunque il giornalista deve rispettare il segreto professionale e avrà cura di informare il lettore di tale circostanza. Il divieto di divulgare la fonte della notizia è, invece, un principio giuridico, che ha festeggiato i 40 anni nel 2003. Giornalisti ed editori, in base all’articolo 2 (comma 3) della legge professionale n. 69/1963, sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse. Tale norma consente al giornalista di ricevere notizie, mentre le fonti sono garantite. Anche l’articolo 13 (V comma) della legge sulla privacy (n. 675/1996) tutela il segreto dei giornalisti sulla fonte delle notizie, quando afferma che restano ferme le norme sul segreto professionale degli esercenti la professione di giornalista, limitatamente alla fonte della notizia. La violazione della regola deontologica del segreto sulla fonte fiduciaria comporta responsabilità disciplinare (articolo 48 della legge n. 69/1963). Appare evidente che alcuni commenti sono da considerarsi puramente diffamatori e in alcuni casi delle vere e proprie calunnie.

9 COMMENTI

  1. questo capita solo a chi sta tutto il giorno a giocare su facebook!
    oltretutto a parlar male di Grillo!!!! un vero e proprio ASINO!
    andrebbe ESPULSO!!!! Grillo pensaci tu!
    anche se mi chiedo che c’è da dire su Grillo per tutto il giorno!
    non si pensi che io sia contro Grillo dato che il lavoro io ce l’ho!
    tutti questi che parlano male di Grillo su facebook sono disoccupati?
    chiedo questo al giornalista professionale che si sentito in dovere di evidenziare per bene che il disoccupato parlava male di Grillo!
    disoccupati meno post e piùùùù GRILLO!

  2. Leggere alcuni commenti qui e su Facebook è raccapricciante. Non capire il senso di un articolo cosi semplice mi porta a fare due valutazioni: non avete una cultura e conoscenza sociale, oppure lo fatte volutamente per chissà per quale motivo. Il senso e che Facebook sta diventando una piaga sociale, ormai è un mezzo senza controllo dove molte persone trascorrono troppe ore sul computer, cellulare, tablet con un accanimento senza eguali. Dalle poche righe dell’articolo emerge un disagio sociale ormai consolidato: meglio trascorrere le ore su Facebook e al bar, piuttosto che uscire di casa e cercare qualche lavoro. Senza contare tutta una serie di commenti da dove emergono cultori della lingua italiana: hahahahahahaha!!! La verità e che quando qualcuno pubblica un articolo sull’arresto di uno dei più grandi spacciatori di cocaina (finalmente) tutti li a difenderlo a spada tratta con centinaia di commenti allucinanti. Evidentemente spacciano con lui oppure sono fatti di cocaina fino ai piedi. Mi vengono in mente anche le difese di quel motociclista “mascherato” difeso da tutti e contestando l’articolo.

  3. Questo più che un articolo mi sembra voglia essere una sorta di “parabola” tesa a confermare la credenza che se la disoccupazione esiste è causata dalla scarsa voglia di lavorare, una parabola costruita ad arte e che fa molto comodo a certi pseudo imprenditori i quali consapevoli del forte bisogno di lavoro, vorrebbero approfittare della situazione, offrendo un guadagno, il più delle volte misero, a condizioni fuori da ogni regola. Nei bar e sulle piazze si sente spesso la voce di qualche “proprietarieddu” che sposa la tesi dell’articolista, ma in cuor suo tifa affinché la situazione continui a sprofondare per poter trarne vantaggio ed avere manodopera a prezzi ancor più bassi… e se la manodopera è di sesso femminile ancora meglio, magari ci scappa qualcos’altro.

    • Perfettamente d’accordo! Ci si vorrebeb far credere che la disoccupazione non sia una piaga sociale che afflige la Sardegna da tempi immemori per colpa di condizioni strutturali italiane, ma che in fondo in fondo la colpa sia dei sardi che non hanno voglia di lavorare. Per avallare questa leggenda si pubblicano, probabilmente inconsapevolmente, notizie come queste che non hanno alcun fondamento quantunque possa essere verosimile.

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