Mi chiamo Gianluigi Deidda, per tutti sono Gigi. Ho 41 anni e sono orgogliosamente sardo di Villacidro. Amo la mia terra. Ci sono tornato dopo aver sudato le famose sette camicie nel nord Italia. Emigrato, per scelta, per lavoro. Ho fatto la gavetta e non ho mai smesso di imparare. Ho lasciato le reti televisive più blasonate per ritornare nel mio paese natio, per far crescere in un ambiente sano la mia piccola, per stare con la mia famiglia. E per vivere la mia terra, con il mio lavoro, la mia telecamera, il microfono e il block notes.
Per raccontare il fascino segreto della Sardegna sul nazionale, ma anche dei suoi drammi, sono stato molto spesso giornalista militante, schierato dalla parte dei più deboli contro le ingiustizie. Ho subìto un pò di tutto nella mia tumultuosa attività professionale, dalle minacce alle denunce, dagli scontri fisici a qualcosa di più. Ne sono consapevole, il mio lavoro, quello del giornalista, non è facile. Non è facile da nessuna parte. E’ ancora più difficile nella propria comunità, dove tutti ci conosciamo e ci rispettiamo.
Per un giornalista è un po’ diverso, molto spesso ha un compito ingrato, servire la verità e la libertà di informazione, senza guardare in faccia a nessuno, potente o minaccioso che sia. Non è solo un diritto del giornalista. E’ un diritto sacrosanto di chi guarda i miei servizi, di chi ascolta la mia cronaca quotidiana. E’ il diritto sacrosanto di ogni cittadino di sapere la verità, di poterla misurare con quelle immagini che a volte parlano più di qualsiasi commento. E’ la mia esperienza professionale ad impormi un grado in più di verità e quella telecamera non è un mio strumento di lavoro, è l’occhio vigile della libertà dei cittadini, quella di sapere sempre la verità.
In queste ultime ore, per l’ennesima volta, e mio malgrado, mi sono ritrovato dinanzi ad una scena impietosa, che ho documentato senza spegnere mai la telecamera perché il metro di giudizio sui fatti non fosse il mio ma quello di ognuno di voi.
Dopo averle viste ognuno di voi potrà esprimere la propria valutazione.
Potrò risultare simpatico o meno, c’è chi mi vuole bene e altri che me ne vogliono meno. Qualcuno che mi considera un rompiscatole e altri un provocatore. Me ne dolgo ma ne sono consapevole. Un giornalista non deve piacere, deve fare il suo lavoro, accendere la telecamera, documentare e difendere quello strumento di libertà anche quando qualcuno lo vuole aggredire. Libertà di informare e di documentare perché ognuno sia libero di giudicare con i propri occhi e la propria testa. A volte posso apparire irruento, ficcanaso e poco elegante. Perdonatemi, è il mio lavoro. Una professione che ho il diritto dovere di difendere in ogni modo da una sempre meno sottile e deprecabile cultura del silenzio, dell’omissione, del non disturbare il manovratore. Il bavaglio non fa per me!
Gli amministratori mi vorrebbero omertoso e complice, i potenti a loro servizio, gli arroganti succube alle minacce e alle prepotenze.
Non sarei io, non sarei colui che pensa al proprio lavoro come una missione di verità al servizio dei miei concittadini, al servizio della libertà di informare tutti indistintamente con il maggior numero di atti e documenti.
Due giorni fa, in una delle rare pause del mio lavoro che mi porta spesso fuori dal mio paese, avevo deciso di raccogliere il grido di dolore di un macellaio di Villacidro da settimane isolato nella sua via a causa di interminabili lavori. Sono andato con la telecamera in spalla, come si deve fare in questi casi per raccontare in presa diretta il disagio di un cantiere gestito male e documentare le conseguenze per cittadini e commercianti.
Tv reale, per essere chiari, senza messe in scena, in diretta, come se ci fosse l’occhio di ognuno di voi sul posto. L’aggressione è stata immediata e violenta, senza fronzoli. Senza motivo e con la malagrazia di chi aveva qualcosa da nascondere. Non ho alcuna intenzione di soffermarmi oltre misura su quei fatti, li ho segnalati a chi di dovere e li valuterà.
Di certo, però, mi ha colpito l’affermazione di uno dei due operai che, a voce alta, ha ulteriormente inveito verso di me con la frase tipica di chi non sopporta il mio lavoro, le mie domande: non lo può vedere nessuno in paese! Con chi ha parlato, chi ha dato quell’informazione al povero operaio?
Di certo non pubblicherò l’sms di un amministratore comunale il quale senza pudore mi scrive che nell’aggressione che ho subito non c’è notizia.
Del resto cosa ci si può attendere da chi con modi di fare e arroganza del potere vorrebbe mettermi ogni giorno il bavaglio? Non ve lo consentirò, prima di tutto per rispetto dei miei concittadini.
Quella frase, “non lo può vedere nessuno”, mi ha colpito. E’ stata pronunciata da un signore che non mi conosce, che non è di Villacidro e che riferiva della mia presenza nel cantiere a qualcun altro, quello sì che sapeva chi fossi. Non mi dolgo per i due operai. E me ne dispiace sinceramente, sono l’anello debole di una catena del silenzio e dell’omertà che arriva dai piani alti.
Mi agito, piuttosto, per quelle parole pronunciate: non può filmare, non può inquadrarmi, questo è un cantiere e non si entra, non lo si può far vedere. Peccato che il cantiere fosse senza alcuna transenna, peccato che ci stavano passando tutti, senza alcuna protezione, una signora e una ragazza, tanto che il carabiniere deve invitare uno degli operai a togliere le mani di dosso dalla signora. Per non parlare di un cantiere per niente sicuro e gli stessi operai senza le più elementari dotazioni di sicurezza.
E il povero macellaio, da quindici giorni, chiuso senza transito con incassi a zero. Costretto al silenzio, per non essere ancora più danneggiato. Ecco, la mia telecamera ha fatto quello che doveva fare, un giornalista che si rispetti ha il dovere di registrare, di difendere con le urla, se necessario, la sua libertà di informare.
Oggi questo vale molto più di qualsiasi altro giudizio di simpatia o meno.
Di questi tempi, nostro malgrado, passa sempre più l’insegnamento becero e fraudolento che non si possono inquadrare ministri e figli con le moto d’acqua della polizia, non si possono documentare gli abusi di potenti di turno, non si può dire la verità sino in fondo perché ti dicono che non ti conviene metterteli contro. Perdonatemi se qualche volta sono irruento, se posso apparire arrogante, ma la libertà di informare è un mio dovere, così come è diritto di ognuno di voi essere informati.
Perdonatemi!
Se non dovessi più farlo, se vi dovessi apparire silenzioso e omertoso, omissivo e complice verso i potenti di turno non chiamatemi più Gigi, sarei un’altra persona. Per quanto campo vorrei che ognuno di voi, amico o nemico, simpatico o antipatico, continuasse a chiamarmi con il mio nome!
Per me l’informazione è un dovere di libertà!